
Nei paesi in cui la tecnologia stenta ad arrivare prepotentemente, e di conseguenza molti degli accessori che a noi appaiono di uso quotidiano non sono ancora ad uso della grande massa, il raffio viene auto-costruito con aste di ferro appuntite e sagomate. In alcuni casi il gancio realizzato in officina, viene legato saldamente su un bastone di legno. Questo tipo di raffio, viene ancora usato dai tonnaroti che partecipano alle poche tonnare ancora operative nei nostri mari.
Il raffio semplice, composto da un gancio d’acciaio legato su un bastone di legno, è stato per anni l’unico attrezzo usato sulle navi fattoria in Atlantico e Pacifico e sugli athoneros spagnoli e portoghesi.
Al giorno d’oggi anche sul più sperduto atollo dell’Oceano Indiano, possiamo trovare raffi in acciaio inox ordinati via internet dall’altro capo del mondo. Ma questo non significa che l’antico raffio di legno deve essere dimenticato, anzi per alcune situazioni un attrezzo di dimensioni ridotte può essere di grande vantaggio.
Nella trainae nel light drifting, non di rado ci si trova a recuperare prede di grande energia e combattività, anche se di ridotte dimensioni. E’ il caso dei tunnidi, dei dentici, delle palamite, del pesce serra e delle orate. Questi pesci giungono sotto bordo ancora pieni di vitalità ed è proprio al momento dell’uso del guadino, che spesso si slamano. Utilizzare i raffi che si trovano in commercio, con prede di peso inferiore ai 5-6 chili, comporterebbe difficoltà di aggancio a causa dell’eccessivo movimento del pesce e difficoltà di penetrazione, a causa del diametro del gancio.
Il gancio del raffio si realizza con ami in acciaio o lega leggera di grandi dimensioni (12/0 – 14/0), a gambo dritto e lungo e punta dritta. In genere questi ami non sono facili da reperire sul mercato italiano, in quanto destinati esclusivamente alla traina d’alturaal marlin, ma con un po’ di pazienza e ricerca su internet si può reperire di tutto. Per il manico basta un semplice bastone di legno del tipo “manico da scopa”, in vendita in qualunque ferramenta o casalinghi. Ci serviranno poi del dacron, colla bicomponente epossidica, colla cianoacrilica e vernice bicomponente trasparente per legno.
Il bastone va tagliato secondo la misura che ci necessita con una sezione molto inclinata rispetto all’asse. Nella parte più lunga della sezione, dopo aver presentato l’amo e segnato a matita la sua forma sul legno, si pratica una fessura con un micromotore o con gli utensili per scavare il legno. In pratica si realizza la sede in cui il gambo dell’amo andrà bloccato. In questa fase è necessario considerare che la curva dell’amo dovrà fuoriuscire completamente dal manico. Quando avremo scavato una sede che consenta all’amo di aderire perfettamente al manico, passiamo alla verniciatura del legno. Questa dovrà prevedere almeno 3 mani con relativa essiccatura e carteggiatura tra una e l’altra. Quando il manico è perfettamente asciutto si fissa l’amo praticando un piccolo foro nel punto del legno che combacia con l’occhiello dell’amo e vi si avvita un vite Parker in acciaio inox. A questo punto si procede con la legatura tra il gambo dell’amo ed il manico, con il dacron da 30 o 50 libbre. Chiusa bene la legatura la si blocca con dei piccoli punti di colla cianoacrilica e poi gli si spalma sopra uno strato di colla bicomponente. Questo tipo di colla essicca in brevissimo tempo e va spalmata prendendo anche qualche millimetro di legno in modo da creare corpo unico tra amo, legatura e manico.

Per realizzare l’impugnatura dalla parte opposta dell’amo ed un eventuale impugnatura intermedia, si utilizza il dacron da 130 libbre ben chiuso e bloccato con punte di cianoacrilica. Il tutto si può poi abbellire con legature e disegni personalizzati.
Questo tipo di raffio, oltre che a dare soddisfazione personale per la realizzazione manuale, è un attrezzo veramente funzionale. L’altissimo livello di penetrazione di questo genere di ami, consente una raffiata veloce e sicura, consentendo si reggere anche prede importanti. Con tale attrezzo si possono raffiare anche pesci di un chilo, senza rovinarli.
testo e foto Riccardo Fanelli