
La seppia vive indistintamente sia sulla roccia, che sulla sabbia. La particolarità cangiante e mimetica della livrea, le consente di potersi mimetizzare senza problemi su gran parte dei fondali. La pelle di cui è ricoperta superiormente, le consente addirittura di modificare la superficie liscia del proprio corpo con piccole asperità, che le conferiscono un aspetto assai simile ad una roccia o ad una spugna.
Il mimetismo della seppia è la sua arma vincente sia per non farsi notare da eventuali aggressori, che per celarsi alle proprie prede. Quando si nasconde in mezzo alle rocce veste una livrea mimetica, mentre se staziona o si muove sulla sabbia, il suo colore assume una tinta uniforme difficilmente distinguibile da quella del fondo. E su fondali sabbiosi è in grado di insabbiarsi lasciando visibili solo gli occhi, per tendere agguati micidiali alle sue prede.
La seppia, come anche il calamaro, è un animale molto aggressivo, sia con le prede che con i suoi simili. Durante l’accostamento autunnale, riesce a convivere e a cacciare in piccoli gruppi, ma nella stagione degli amori i maschi non possono convivere tra loro e si attaccano anche se catturati e messi in una vasca del vivo.
Questa aggressività fa si che l’attacco ad esche artificiali, sia quasi scontato, facilitando la praticità della pesca. Spessissimo una seppia agganciata e recuperata fino alla barca, se si slama sotto bordo si rilancia all’inseguimento della totanara, rimanendo di nuovo ferrata.
Le seppie si pescano prevalentemente su fondali sabbiosi, sia perché è più facile trovarle, che per il fatto che dovendo strisciare i piombi e le totanare sul fondo, in presenza di rocce o alghe, è facile perdere i calmanti. Le aree ideali sia per la traina, che per lo scarroccio, sono gli spiaggioni che confinano con secche sommerse, o con pareti rocciose, gli antemurali dei porti e le foci d’acqua dolce. In tutte queste zone, bisogna identificare la profondità a cui mangiano le seppie e pescare mantenendosi su tale batimetrica. In genere si pesca tra i 4 ed i 15 metri di fondo.
Le seppie cominciano ad accostare ad inizio ottobre, ma il momento più proficuo va da novembre a gennaio. Le ore migliori sono quelle in cui il sole comincia a scaldare, quindi tra le 9 e le 14.
Si usano canne specifiche da 2-2,5 metri, con vetta molto sensibile, abbinate a mulinelli rotanti medio piccoli, caricati con nylon 0,30 o multifibra da 8-12 libbre. Il piombo, può essere ad oliva e si inserisce nella lenza madre scorrevole bloccandolo con una girella preceduta da una perlina salva nodo; oppure, in caso di fondali leggermente “sporchi” si può usare un piccolo guardiano con un bracciolo da 30-40 cm, scorrevole sulla lenza madre. Il terminale è in nylon, lungo 1,5-2 metri e di diametro 0,25-0,20, al cui termine si collega la totanara.
Le totanare da seppia sono quella di misura tra i 3 ed i 4, con piombo sotto la testa, non di rado vanno bene anche quelle da calamaro senza zavorra. Nella scelta della totanara bisogna considerare che spesso i modelli economici danno gli stessi risultati di quelli di marca, ma assorbono facilmente acqua perdendo l’assetto neutro che devono avere in pesca. Per il colore è difficile stabilire quale sia il migliore, conviene iniziare con vari colori e non appena si cattura con una livrea, unificare le altre esche.
La pesca in scarroccio è la più classica e si effettua lasciando trasportare la barca dal vento e dalla corrente. Scelta l’area di pesca e fermata l’imbarcazione, si calano le esche con piombature leggere, ma che siano appropriate al movimento della barca. In linea di massima si possono usare zavorre che variano tra i 10 ed i 100 grammi. Se si è da soli a pescare si possono calare due esche ferme, ovvero posate sul fondo e con canna nel portacanna, ed una in mano la quale potrà essere lavorata con piccoli recuperi mirati ad accelerare la velocità di spostamento dell’esca e a sollevare sabbia con il piombo. Se si è in più persone conviene tenere le canne in mano ed alternare momenti di esca ferma a momenti di recupero.
Quando la seppia attacca, la lenza si appesantisce ed in genere si ferra da sola sulle spugnette dell’artificiale. Spesso non si ferra per niente, ma rimane lo stesso avvinghiata all’esca, tanta è la sua aggressività. Avvertito l’appesantimento s’inizia il recupero lento ma costante, portando la seppia in superficie ed in prossimità della barca. Quando la seppia si accorge dell’inganno, ma soprattutto quando vede il guadino lascia la presa e parte in direzione opposta. Non sono poche quelle che riescono a liberarsi, ma non di rado, come detto, se gli ricapita l’esca a tiro, la riprendono tra i tentacoli.
testo e foto Riccardo Fanelli