
Il totano di fondale, è un cefalopode che può superare i venti chili di peso e che nel messinese e in tutta la zona dello Stretto è oggetto di una pesca specifica proprio per ragioni legate alla tradizione sia alieutica che alimentare, che si tramandano da generazioni, come ai tempi della Provvidenza di compare ‘Ntoni.
La citazione dei Malavoglia di Verga è d’obbligo, perché sebbene i totani di fondale siano diffusi un po’ dappertutto, è proprio in questo tratto di mare che risale fino a Scilla e Cariddi dove esiste una vera e propria scuola di pesca, che alimenta inoltre un mercato abbastanza florido per i professionisti (non è raro che i totani riescano a spuntare nei mercati fra Ganzirri e Aci Castello dei prezzi superiori ai più teneri e delicati calamari).
Sebbene la fantasia ci porti a pensare a documentari thrilling di National Geographic sugli architeuthis o gli hulboldts, i cefalopodi in questione appartengono con grande probabilità alla stessa famiglia dei todarodes.
La pesca tradizionale si svolge in notturna, in quanto anche questa creatura ama risalire verso terra dai fondali più profondi, ma è possibile anche di giorno, magari su fondali più pronunciati e vicino a canyon sottomarini e buche. In genere la profondità ideale è compresa fra i 300 ed i 500 metri, e l’utilizzo dei mulinelli elettrici è quindi imprescindibile. Quello che cambia rispetto al bolentino tradizionale è il terminale e la tecnica di pesca. Il terminale è costituito da una totanara di dimensioni extra (30 cm.), con cestello singolo o doppio in acciaio tornito, spesso opera di artigiani locali.
testo e foto Antonio Varcasia