
Il pesce serra, alcuni anni fa, era stato additato come un grosso pericolo per la biodiversità delle nostre coste; poco conosciuto, spesso temuto, a volte estremamente diffidente tanto da far esasperare i più cocciuti angler alla sua caccia, altre volte spettacolo della natura nella sua realtà più cruda, nella dura lotta per la sopravvivenza.
Se non vi avessimo assistito personalmente, sarebbe difficile credere a scene da film “splatter” come quelle di una ondata nera che entra veloce in un porto, al seguito di una moltitudine terrorizzata di muggini vittima di attacchi a ripetizione, con l’acqua che si tinge di rosso, prede spiaggiate e altre letteralmente fatte a pezzi.
Possiamo dire, col beneficio d’inventario di chi sa che la natura è difficilmente prevedibile e che quando in questo campo si rischia un’affermazione si è prontamente smentiti il giorno dopo, che forse anche l’amato/odiato serra ha oggi trovato la sua nicchia ecologica in un mare che l’ha sempre ospitato, ma forse mai nell’entità che abbiamo potuto vedere in questi ultimi dieci anni.
Infatti, essere un predatore temibile, non mette al riparo di quella legge della natura che tende prima o poi a riequilibrare i rapporti fra prede e predatori. Insomma per capirci è un po’ come tenere una decina di tigri del bengala in un oasi faunistica locale: dopo aver seminato panico e morte sarebbero esse stesse le vittime di una sorte che gli impone di cacciare (con successo) per poter sopravvivere (cosa non sempre possibile).
Questo non vuol dire che i pesci serra siano in via di estinzione, ma che da quello che emerge da un contesto abbastanza ampio di segnalazioni e catture, il nostro pomatomide ha un po’ ridimensionato il suo regno, e di conseguenza l’integrazione con le altre specie sembra migliorata.
Dal punto di vista strettamente sportivo, invece il pesce serra si presenta come un gamefish perfetto: è infatti aggressivo ma allo stesso tempo lunatico e sospettoso, mangia in superficie con attacchi spettacolari sulle nostre esche, ed una volta allamato, oltre a sprigionare una forza notevole per un pesce delle sue dimensioni, si produce in spettacolari salti che fanno salire vertiginosamente l’adrenalina degli angler.
L’attitudine acrobatica che viene rimarcata dal suo nome latino (Pomatomus saltatrix), la lunaticità e la frequenza delle slamate (proprio grazie a questa sua strategia di difesa, insieme ad una struttura buccale possente ed estremamente dura) hanno suggerito a molti l’incauto paragone con un pesce che anima i sogni d’oltreoceano di molti pescatori: il tarpon.
Paragone irriverente forse ma, nel nostro piccolo e bistrattato Mediterraneo, bisogna sapersi accontentare, sapendo che molti appassionati firmerebbero molto volentieri per un bel serra in canna.
Infatti tutto questo, unito al fatto che ormai è possibile insidiarlo quasi tutto l’anno e in diverse zone della nostra penisola, il serra ha sicuramente un posto di prim’ordine nella wanted list degli italici pescatori a spinning.
Aggiungiamo che le dimensioni che raggiunge sono tutt’altro che trascurabili e che, se è pur vero che la media delle catture è compresa fra i due ed i cinque chili, è altrettanto vero che sono ormai molte le segnalazioni di veri e propri mostriciattoli da 8, 9 fino anche ai 12 chili, che lasciano intendere che le guidelines della FAO (in cui il max weight è di 14 chili) potrebbero subire una pronta revisione.
testo e foto Antonio Varcasia